mercoledì 24 gennaio 2007

MARC AUGE': L'ATTUALITA' DEL SOCIALISMO


Politica. Tra i promotori dell'Associazione "Unasolaterra", introduce oggi (venerdì) a Roma il dibattito "Luoghi, non luoghi, soggetti della politica - Cosa diciamo oggi quando diciamo socialismo" con Giacomo Marramao, Fabio Mussi, Laura Pennacchi, Martine Roure, Vincenzo Vita. L'appuntamento è alle ore 17.00 al Teatro Capranica (piazza Capranica). Lo abbiamo incontrato in anteprima per aprileonline.

Già directeur d'études presso l'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi, di cui è stato a lungo Presidente, Marc Augé è uno dei più affermati antropologi contemporanei. Africanista di formazione, ha studiato a lungo le popolazioni dell'Alto Volta e della Costa d'Avorio, svolgendo ricerche sui sistemi di potere, sulle religioni tradizionali e sul profetismo. A partire dagli anni Ottanta ha elaborato un'antropologia della pluralità dei mondi contemporanei attenta alla dimensione rituale del quotidiano e della modernità. In questa prospettiva è venuto elaborando nuovi modi di intendere le relazioni tra dimensione spaziale e appartenenza ai luoghi. Più di recente si è occupato dei modelli di produzione della memoria culturale e dell'assottigliarsi dell'orizzonte del passato nella società contemporanea. Tra le sue opere: Non luoghi. Introduzione a un'antropologia della surmodernità (Milano 1993); La guerra dei sogni. Esercizi di etno-fiction (Milano 1998); Genio del paganesimo (Torino 2002); Il dio oggetto (Roma 2002); Poteri di vita, poteri di morte (Milano 2003); Rovine e macerie. Il senso del tempo (Torino 2004); Perché viviamo (Roma 2004).
Tra i promotori dell'Associazione "Unasolaterra", introduce oggi (venerdì) a Roma il dibattito "Luoghi, non luoghi, soggetti della politica - Cosa diciamo oggi quando diciamo socialismo" con Giacomo Marramao, Fabio Mussi, Laura Pennacchi, Martine Roure, Vincenzo Vita. L'appuntamento è alle ore 17.00 al Teatro Capranica (piazza Capranica). Lo abbiamo incontrato in anteprima per aprileonline.
Professor Augé, partiamo dal sottotitolo dell'iniziativa della Fondazione "Unasolaterra": Cosa diciamo, oggi, quando diciamo Socialismo?
Una domanda interessante e, soprattutto, complessa. Il Socialismo non può che partire dal rispetto dell'uomo, dei diritti dell'uomo, dell'individuo, dei suoi diritti. Il Socialismo non può prescindere dai principi di eguaglianza e di libertà. Laddove per eguaglianza, penso prioritariamente all'eguaglianza nell'accesso del sapere e della conoscenza, e per libertà penso alla libertà dalla schiavitù economica, ma anche di pensiero e di ricerca, abbandono delle vecchie armature ideologiche. Due concetti, quello di eguaglianza e di libertà, che possono apparire datati, che ci riportano alla rivoluzione francese del 1789 - ma che storicamente non sono stati mai realmente applicati. Il Socialismo non può che definirsi a partire da questi principi e attraverso questo esistere in una prospettiva dell'universale.
La sua crisi nel 20mo secolo è la conseguenza della gestione sbagliata del rapporto tra libertà ed eguaglianza. Un errore che si tende ancora oggi a ripetere. Dopo la sconfitta dei sistemi comunisti, la questione che si pone, oggi, sta nella natura del potere del socialismo e nel modo in cui esso si esercita in primo luogo rispetto alla sua relazione con l'economia di mercato. E' sbagliato pensare che il socialismo sia già una realtà data, con le sue regole, i suoi paletti, le sue strutture. E' un errore delle ideologie, di un'armatura intellettuale che troppo spesso ci ingabbia. La scienza, se mi permetti questo paragone, si muove, diciamo così, al contrario: partendo dalle esperienze di base, con un approccio sperimentale. Il nostro laboratorio è costituito da una "coscienza planetaria" che è ecologica e riguarda anche la presa di coscienza di un allargarsi del divario fra ricchi e poveri. Credo che il Socialismo sia un progetto e... ecco, mi sembra che già quest'affermazione porti con se innumerevoli conseguenze.
Un progetto, che nell'era della cosiddetta globalizzazione, è forse ancora più attuale e necessario?
Certamente si. Vedi, quello che oggi ci rende pessimisti è il triste inventario della quotidianità. Viviamo in un mondo aristocratico: non c'è solo una enorme disuguaglianza economica, ma soprattutto esiste un'enorme disuguaglianza rispetto alla scienza e alla conoscenza. Disuguaglianza inaccettabile, che si produce non solo tra nord e sud del mondo, ma anche all'interno di ciascun singolo paese sviluppato. E' una follia. Siamo schiavi di totalitarismi religiosi, economici, culturali. Incapaci di reagire. La rivoluzione è possibile e si chiama conoscenza. I soldi per fare la guerra sono sempre disponibili, eppure scarseggiano quando si tratta di trovare i fondi per la formazione e il sapere. L'unica guerra oggi necessaria è la guerra all'ignoranza, e la via per il socialismo non può che percorrere la strada della conoscenza e del sapere. Al contrario, restiamo inerti, ingabbiati nelle superstizioni e nei vecchi schemi ideologici.
Non possiamo aiutare a sconfiggere l'ignoranza nei paesi in via di sviluppo se prima non ci battiamo per sconfiggere la nostra stessa ignoranza. Ti faccio l'esempio del mio paese, la Francia, e di come ha affrontato sino ad oggi il grande tema dell'immigrazione: non sono tra coloro che affermano che il modello francese è fallito perché, in realtà, ritengo non sia mai stato veramente applicato.
Credo che gli sforzi della Francia siano stati insufficienti per quel che riguarda l'alfabetizzazione, l'istruzione e l'integrazione. Si è quindi verificata una rottura tra la prima generazione dei genitori e la seconda formata da questi ragazzi, che hanno frequentato la scuola e che hanno elaborato una cultura propria, che poi è quella della città di periferia, in cui sono nati e cresciuti. In questa rottura ha origine il conflitto principale.
Il paradosso oggi è che si parla di globalizzazione, ma i conflitti locali, localissimi, sono più che numerosi...
L'analisi marxista è oggi più attuale che mai: anziché parlare di globalizzazione, io parlerei di mondializzazione. Se vi sono, oggi, dei punti di passaggio nella rete della globalità, è sempre più vero che gli episodi locali sono marcati dall'esclusione. Nella strategia economica globale, l'idea del futuro di una grande parte dell'umanità è scomparsa. Le contraddizioni sono mondiali. Il liberismo, che pure all'apparenza avrebbe vinto, ha contribuito a scatenarne sempre di nuove.

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