mercoledì 24 gennaio 2007

LUOGHI E NON LUOGHI, PARTITI E NON PARTITI di Vincenzo Vita


Approfondimenti Riappropriamoci, innanzitutto, di un metodo davvero democratico e poi un percorso che coniughi le esperienze classiche dell'agire politico con la rete sociale, associativa e territoriale. Un laboratorio di cultura e di politica aperto ai linguaggi delle generazioni degli sms e dei blog. Per un'idea di politica diversa, in cui il partito è uno dei "nodi", non l'unico, né quello centrale.


Dopo otto mesi di governo del centrosinistra, mesi intensi e tesi, segnati da impegni gravosi anzitutto sul fronte del risanamento del bilancio e del rilancio del sistema-paese che hanno comportato scelte certamente difficili, il dato politico più rilevante è l'irrisolta fase di transizione e di ripensamento che l'Ulivo sta attraversando.
L'urgenza della competizione elettorale vinta pur di misura configura uno scenario politico nel quale una delle questioni di fondo è il superamento del ‘berlusconismo', colto nella sua dimensione più ampia e invasiva e dunque quale fenomeno ‘metapolitico', vale a dire la sua peculiare configurazione di subcultura di massa. Va detto che la specificità di tale fenomeno sta innanzitutto nell'aver consegnato una sorta di normalità al concetto di destra, non quella storica bensì un suo succedaneo interno ai fenomeni della modernità. Il ‘berlusconismo' è riuscito a intercettare (a patto di essere presente in prima persona con il suo massimo testimonial) diversi dei fili di congiunzione tra la globalità mercantile e i nuovi individualismi, gli istinti primordiali a tutelare la piccola (o meno piccola) proprietà privata considerata a rischio nell'allargamento dello spazio e del tempo. E' una forma evidente di populismo dell'era elettronica, che dà fiato e un simulacro identitario a gruppi sociali che si sentono privi di protezione corporativa.
Il merito (demerito) di Berlusconi è di aver fatto lievitare dal ventre molle delle culture massificate il prodotto peggiore del mix tra globale e locale, erigendo a linea politica il terrore del diverso e del tempo della contemporaneità. Ha unito le ansie ancestrali con la leggerezza della società mediatica.
Ha costruito un vero clima di paura agitandosi una volta a favore e un'altra contro la modernità. Anzi, ha contribuito a determinare il concetto di surmodernité, tanto caro a Marc Augé. L'antropologo francese ci invita a pensare che le attuali trasformazioni siano meno razionali di quanto si sostenga, che l'economia della società postindustriale più ‘sviluppata' non si spiega del tutto senza prospettarne il simbolico, l'ideologia, le credenze. (2006).
Ora la questione improcrastinabile è la costruzione di un progetto politico di lungo periodo e una profonda riflessione sul riassetto tutto interno all'Ulivo e sulle prospettive poste dalla nascita del Partito democratico.
E' bene fare attenzione a un simile processo, che non si può considerare concluso con la sconfitta politica della Casa delle Libertà: tra l'altro, diverse forme tipiche del "berlusconismo" hanno fatto breccia in modo inequivoco negli stili e, purtroppo, in certe scelte della sinistra. Se non si riparte da qui, ovvero dalla ricostruzione di alcuni fondamentali valori, delle culture soggettive sottese alla "linea" politica non si va molto avanti e non si costruisce nessuna alternativa.
Dobbiamo uscire, per dirla in breve, dalla spirale dentro cui spesso si muovono le culture politiche del nostro campo (sia quelle più moderate sia quelle più gauche), con una sorta di divisione tra la nostra razionalità e l'azione sui sentimenti divenuta appannaggio delle destre.
Insomma, è bene cogliere tutte le implicazioni della surmodernité che, come ci ricorda Augé, risulta simultaneamente dalle tre figure dell'eccesso, ovvero la sovrabbondanza d'avvenimenti, la sovrabbondanza spaziale e l'individualizzazione dei riferimenti, trovando la sua espressione più genuina nei non luoghi (1993). Così, è essenziale introdurre nel discorso pubblico sugli attuali processi democratici - nei loro inquietanti alti e bassi - l'importanza del "vissuto" nella ridefinizione delle forme di potere e, ancor più, lo slittamento in corso d'opera dall'astrazione politica - ovvero la prepotente riemergenza dell'"emozionale" nella vita sociale, che costituisce una delle caratteristiche essenziali, e forse quella principale, della postmodernità (Michel Maffesoli, 2006).
Il tema si complica ulteriormente se si considera in modo non occasionale la crescita, per usare la definizione di Manuel Castells, della "società informazionale", che comporta modifiche sostanziali tanto sui caratteri della soggettività sociale quanto sulle forme della rappresentanza, ovviamente anche nelle istituzioni. Derrick de Kerckhove sostiene che l'attuale struttura politica è figlia della cultura letteraria, mentre l'era della rete ha aperto un nuovo capitolo, che non significa superamento, ma certo riconsiderazione del tessuto nervoso della struttura democratica. E, va aggiunto, delle stesse forme dell'organizzazione politica, a cominciare dalla questione del partito, come ci è stata consegnata dalla tradizione ottocentesca, ancorché innervata dal pensiero gramsciano. Di lì, anzi, - dal partito come intellettuale collettivo - si dovrebbe ripartire.
E' qui che si colloca il dibattito di oggi, ed è qui che passa il tema del partito democratico, che costituisce una frettolosa (e sbagliata) risposta al quesito che la situazione ci pone. Si può facilmente obiettare che pure l'ipotesi di sempre della sinistra unita corre rischi analoghi. Tuttavia il tema del rilancio della sinistra è ineludibile. Proprio per questo, va messa in agenda, nel parlare di sinistra e di socialismo, una profonda riconsiderazione del modello stesso di organizzazione della politica, riaprendo da tale via il nodo identitario della sinistra del nuovo secolo e del nuovo millennio. Che non è solo tema di linea politica, bensì di ridefinizione del territorio cognitivo dentro cui ricostruire la soggettività politica. Claudio Napoleoni ci invitava a "cercare ancora" e la lezione del grande economista è di grande attualità, come il McLuhan del "mezzo è il messaggio". Non è una risposta ai quesiti posti dal confronto, ma è un tentativo di rivedere l'agenda del discorso. Riappropriamoci, innanzitutto, di un metodo davvero democratico e poi un percorso che coniughi le esperienze classiche dell'agire politico con la rete sociale, associativa e territoriale. Un laboratorio di cultura e di politica aperto ai linguaggi delle generazioni degli sms e dei blog. Per un'idea di politica diversa, in cui il partito è uno dei "nodi", non l'unico, né quello centrale.
*Il testo che segue è la nota introduttiva di Vincenzo Vita ai lavori del convegno tenutosi venerdì 19 gennaio presso Teatro Capranica a Roma organizzato da "Una sola terra", la Fondazione culturale per la democrazia e il socialismo nata con l'obiettivo di riportare la riflessione della politica sui nuovi temi elaborati dalla sociologia, dall'antropologia, dalla filosofia politica, dall'ambientalismo, dalla scienza della comunicazione e dei nuovi media sulle trasformazioni ed evoluzioni della società e degli scenari internazionali del terzo millennio. Si è trattato del primo incontro pubblico della Fondazione, che vuole costituire un punto di riferimento nella discussione che impegna la sinistra nel ridisegno della propria agenda politica e nello sforzo di sollecitare il coinvolgimento e la partecipazione di fasce sempre più ampie di cittadini.
All'incontro hanno partecipato Marc Augé, Paolo Leon (presidente designato della Fondazione), Giacomo Marramao, Laura Pennacchi, Martine Roure e Fabio Mussi.

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