martedì 29 maggio 2007

Articolo di Gigi Spedicato su "Il Corriere del Mezzogiorno" del 30.5.07

La lista di una formazione politica appena nata che batte a Taranto quella dei DS, il partito dal quale quella stessa formazione si è staccata meno di un mese fa, non è l’anticipazione di un trend nazionale. E’ un segnale, forte e chiaro, del clima di opinione che circonda la nascita del partito Democratico, del generalizzato senso di perplessità nell’elettorato diessino circa gli esiti di un processo finora percepito come la fusione a freddo di segmenti di ceto politico all’interno di un incerto quadro identitario. Guardiamo i dati, nella loro essenzialità. Ezio Stefàno raccoglie il 37,32% dei voti, ed i partiti della sua coalizione il 33% circa; il presidente Florido, al contrario, registra quasi dieci punti percentuali in meno rispetto alle liste che lo hanno sostenuto, il 20,8% a fronte del 30%. Come partito, la quercia tarantina arriva alle soglie dell’estinzione: il 6 e qualcosa per cento è valore da partito di opinione, non di massa. Occorrerà ricordare questi dati, lo ripeto certo non generalizzabili, ma neppure da rubricare alla voce incidenti di percorso: occorrerà richiamarli quando si tenteranno letture minimaliste del voto nella città dei due mari, e nella Puglia presentata con enfasi troppo anticipata come l’ideale laboratorio politico della nascita in vitro del Partito Democratico. Ed invece, la Puglia è la terra dove le dimissioni di Nicola Rossi e l’abbandono di Peppino Caldarola accompagnano e contrappuntano una campagna congressuale diessina ricca di trionfi fassiniani e povera di analisi politica; dove alla sua prima prova elettorale il PD si arena sull’incapacità di riconoscere il bisogno del nuovo, della discontinuità con la politica degli apparati che la candidatura Stefàno esprime; dove scoppia la contraddizione tra il ricorso alle primarie sbandierato come la strada maestra per il rinnovamento della politica, e la resa inerme di fronte al rifiuto arrogante delle stesse primarie da parte del potente di turno.
Taranto non è soltanto l’occasione persa dal centrosinistra, e per esclusiva responsabilità della sua componente moderata, di avere un sindaco democratico già da ieri sera; Taranto potrebbe essere l’occasione irripetibile di fermarsi a riflettere su cosa sia e stia diventando questo Partito Democratico che ogni giorno di più sconta il peccato d’origine di essere scelta tattica a corto di visione strategica. Come mozione Mussi, ai tempi di un congresso che sembra lontano ed è appena dietro l’angolo, chiedemmo con forza ai compagni della maggioranza di fermarsi a riflettere sulle ragioni di una accelerazione che ci sembrava, e tuttora ci sembra, immotivata; e lo chiedemmo non nell’interesse di una parte minoritaria che temesse di perdere il congresso, quanto piuttosto perché ci rendevamo conto dei rischi, delle approssimazioni, del disagio e della diffidenza che circondavano quel progetto. Alla prova del voto, e non è una prova che ci riempia di soddisfazione, tuttaltro, quei timori e quelle diffidenza si manifestano nella crescita dell’astensionismo, nella difficoltà di raccogliere consensi che vadano al di là della somma dei voti di Margherita e DS, consensi anzi che spesso sono diminuiti in numero e peso politico. Forse a questo punto fermarsi è impossibile, o quantomeno richiederebbe una autocritica della quale l’attuale gruppo dirigente DS, nazionale e regionale, sembra francamente non aver voglia; ma riflettere, ragionare, pensare, no, questo non è impossibile, è doveroso. Riflettere sulla caduta di consensi quando le logiche degli apparati prevalgono sulla capacità di intercettare e rappresentare il bisogno di cambiamento; ragionare sulla perdita del senso dei processi sociali che sembra essersi impadronita di un ceto politico insensibile agli allarmi del Presidente Napolitano e di tanti altri sulla crisi di credibilità della politica di casta; pensare a come restituire a questa politica la sua funzione primaria di comporre i bisogni e le aspettative in un quadro condiviso di distribuzione delle risorse, anche di quelle immateriali, la speranza, la fiducia, l’immaginazione del futuro. Andremo al ballottaggio di Taranto, come Sinistra Democratica, con fiducia ed apprensione. Pensiamo che Stefàno ce la farà a confermare anche al secondo turno la fiducia datagli dai cittadini di Taranto, perché il suo è un progetto politico chiaro e trasparente; ma il voto a Cito è lì a ricordarci di quanto sia esile il filo che lega i cittadini alla politica, e quanto operazioni spregiudicate come la candidatura Florido rischino di spezzarlo forse definitivamente.

Nessun commento: